Juno Sospita

Work in progress

Milu Correch (Argentina)
Juno Sospita
via Casal Del Marmo
Dimensioni: 1 parete di h 5,5 m  x b 15 m
Tecnica: quarzo acrilico e (marca: Gruppo Ivas) e smalto spray (marca LoopColors)
Ottobre 2017
A cura di: David Diavù Vecchiato
Realizzazione: Associazione Culturale MURo
https://www.graart.it/milu-correch/

La storia

Juno Sospita Mater Regina, la dea-capra dei boschi e del mondo femminile

La zona di Selva Candida è dedicata a martiri importantissimi del mondo cristiano-cattolico, il cui sacrificio in nome della fede ha avuto effetti non soltanto di natura spirituale, ma addirittura toponomastica, visto che l’area in cui avvennero questi eventi – il IX miglio della via Cornelia – si conosceva in precedenza con il nome “opposto” di Selva Nera, per via di un bosco fittissimo presente da tempo immemore.

Con l’opera di Lucamaleonte ci siamo confrontati proprio con questo momento di passaggio, quando il papa Giulio I modificò la denominazione del bosco in funzione del culto dei martiri che qui avevano trovato la morte e la santità. Riteniamo però che sia venuto il momento di celebrare la memoria più antica di questa zona, rendendo omaggio al passato pagano della foresta oscura e fittissima che dominava il paesaggio moltissimi secoli fa.

È difficile adesso tentare di ricostruire l’immagine primigenia di un’area così selvaggia.

Eppure questa porzione di Roma e i suoi dintorni sono ancora custodi di una parte consistente di Agro, cioè il vastissimo distretto agricolo che ha servito l’Urbe dalla notte dei tempi. Onorare il passato della Selva Nera, quindi, significa in fondo, tornare alla natura più arcaica della città, la sua anima più profonda e selvaggia, che ha però avuto una parte consistente nello sviluppo della complessa civiltà romana. Una parte spesso dimenticata.

Qui, inoltre, la campagna è stata un tempo anche terra di confine fra la giovanissima Roma, fondata da non molto, e la fiorente società etrusca, molto più antica e prospera della città di Romolo. Una società già talmente tanto avanzata da aver stabilito solidi contatti con il mondo “orientale”, greco e fenicio in virtù di un intenso scambio commerciale e della presenza sulle coste dell’Italia meridionale di un porto etrusco importantissimo, Pyrgi (più o meno corrispondente alla città contemporanea di Santa Severa), e di centri come l’antica Caere, per il cui raggiungimento, non a caso, fu ricavata la via Cornelia su cui s’imponeva la nostra Selva. L’Etruria, florida regione dominata dagli Etruschi, arrivava a lambire Roma ed è ormai quasi del tutto assodato che, agli albori della sua esistenza, la Città Eterna ha sicuramente subito una dominazione etrusca di cui ancora però non si conoscono precisamente né la durata, né le caratteristiche.

Molto deve l’Urbe a questi vicini progrediti, avventurosi e scaltri, cosmopoliti e colti, che a Roma portarono migliorie significative, oltre che parole, usi, tradizioni artigianali (come la fusione in bronzo e la terracotta) e molto, molto altro in uno scambio in cui risulta davvero complicato stabilire chi sia il conquistato e chi il conquistatore. Chi abbia veramente vinto questa battaglia culturale e militare durata secoli, se i raffinati abitanti dell’Etruria o i severi romani dell’epoca. E così, anche la religione e gli dei sono entrati a far parte di questo fitto reticolo di scambi.

Soltanto un aspetto della società etrusca non penetrò mai il rigidissimo sistema patriarcale stabilito nella Città Eterna fin dalla sua fondazione. Se Roma non diede alle donne alcuna considerazione, né concesse loro alcuna libertà al di fuori dell’universo domestico, almeno fino al II secolo dopo Cristo (e salvo gloriose eccezioni); in Etruria invece la condizione femminile si basava sulla pressoché totale parità. Una parità privata e pubblica, in cui la donna era libera di esprimersi senza alcuna deroga alla sua credibilità.

Se qualcosa di questa caratteristica del mondo etrusco giunse fin sulle rive del Tevere, dunque, ci arrivò grazie ai culti e alle religioni che sono sempre espressione della società in cui nascono e si sviluppano. Fra gli Etruschi, quindi, oltre Tinia, il dio supremo e “padre”, era parimenti adorata anche la dea Uni, espressione divina della natura e del principio femminile: dea del parto, del nutrimento, della sessualità, ma anche guardiana e custode, di uomini e città. L’unione fra i due aveva dato origine a un’altra divinità femminile, Menrva, dea della conoscenza. Nel fitto pantheon etrusco spiccava quindi una triade profondamente influenzata dagli dei greci, che troverà spazio anche in quello romano. La triade capitolina, forza protettrice imbattibile cui Roma ha affidato la sua sicurezza spirituale e dedicato templi importantissimi, infatti, discende da qui (anche etimologicamente): Giove/Tinia, il padre; Juno/Uni (cioè Giunone), la madre in tutto e per tutto potente come il padre; Minerva/Menrva, la figlia.

Uni, in particolare, quando fu assorbita dal mondo romano, prese le caratteristiche di una dea legata alla natura e a tutto ciò che di selvaggio e ancestrale esiste nel fitto dei boschi, lì dove per altro si svolgevano i riti per assicurarsi la sua benevolenza. Dalla Uni etrusca, dunque, derivò il culto di Juno Sospita Mater Regina, dea rivestita di pelle di capra, a richiamare l’iconografia con cui era giunta dall’Etruria attraverso le decorazioni create dagli ottimi artigiani locali, che spesso utilizzavano immagini di donne-capra sorridenti e giovani nelle loro antefisse di terracotta (le antefisse sono elementi decorativi che completavano i tetti degli edifici greci, romani ed etruschi). A Juno Sospita furono innalzati templi e di questi, anche a Roma, ancora si conservano tracce sopravvissute ai continui cambiamenti che la religione pagana capitolina ha affrontato durante la sua lunga storia. La Giunone Mater Regina, figlia di un mondo arcaico, comunque, restò sempre strettamente collegata all’idea di natura che avevano i popoli più antichi. Una natura regina, madre e selvaggia ma capace di custodire e dare vita agli uomini e alle città. Una natura che in questa parte di Roma ancora cerca di resistere, nonostante lo sviluppo incontenibile della periferia, la speculazione edilizia e la nostra capacità di dimenticare anche i legami più sacri. Come quelli che uniscono la Città Eterna ai suoi boschi più impenetrabili che – chissà – magari ancora oggi sono protetti da una dea metà donna e metà capra che ci scruta sorridente, dall’ultimo cespuglio di bosso sopravvissuto a quei secoli lontani in cui la Selva da nera è diventata candida.

E noi abbiamo iniziato a temere e combattere la natura.

ICONE

Milu Correch

Milu Correch è una giovane pittrice ed illustratrice argentina che vive e lavora nella città di Buenos Aires. Inizia molto presto a prediligere le pareti come supporto per i suoi dipinti, i quali sono sempre il frutto di uno studio meticoloso ed approfondito sull’anatomia umana, effettuato sempre prima di iniziare un lavoro murale sia di grandi che di piccole dimensioni. In modo quasi maniacale, ripete gli stessi soggetti su diversi supporti e con diverse tecniche: matita, carboncino, penna biro ed acquerelli su carta, oltre ad acrilici ed olio su tela o tavola, per acquisire la giusta padronanza dei soggetti che poi raffigura su parete. Il risultato è una prolifica attività pittorica caratterizzata da uno stile molto forte e poliedrico. I suoi studi si concentrano soprattutto su figure mitologiche antropomorfe, fondendo iconografia classica, antica e latino-americana con personaggi di racconti moderni, selezionando tematiche il più possibili riconducibili alla realtà contemporanea del contesto nel quale è invitata a dipingere. Nel corso degli anni ha avuto la possibilità di collaborare con artisti internazionali come Odeith, Diego Cirulli, in diversi Paesi del Nord e Sud America e dell’Europa.