Work in progress

Paolo “Gojo” Colasanti (Italia)
Mezzadria
via Antonio Carruccio
Dimensioni: 1 parete di h 5 m x b 30 m circa
Tecnica: quarzo acrilico (marca: Gruppo Ivas) e smalto spray (marca LoopColors)
Marzo 2018
A cura di: David Diavù Vecchiato
Realizzazione: Associazione Culturale MURo
https://www.graart.it/gojo/

La storia

Trovandoci fra la Laurentina e l’Ardeatina, in un’area che grossomodo tocca anche Decima, Tor Pagnotta e la Cecchignola, bisogna tener presente che questa – insieme ai municipi di Casalotti-Boccea-Casal Del Marmo – è la zona di Roma che custodisce la porzione più vasta di Agro romano. La storia che ancora vibra su questo territorio, dunque, parla del mondo contadino. E in particolar modo dell’istituto della mezzadria che qui – fino agli anni Settanta – è stata una realtà quotidiana.

Ciononostante, nei decenni scorsi l’intensa attività edilizia, che ha permesso l’edificazione di gran parte dei quartieri periferici del quadrante meridionale capitolino, ha seriamente minato l’integrità di un’area in cui il vuoto è sempre stato monumentale e l’assenza di uomini e palazzi un atto di conservazione quasi dovuto. Un territorio che conserva la medesima dignità delle vicine propaggini del parco dell’Appia antica, ma la esprime lontano dalla nobiltà dei suoi mausolei e delle ville imperiali, essendo simbolo, piuttosto, di un cosmo composto da mestieri, saperi e prospettive che oggi pare quasi del tutto scomparso.

Stretti fra le palazzine e ridotti spesso in uno stato di rabbioso abbandono, qui ancora sopravvivono le tracce dei casali affidati dai Torlonia ai loro mezzadri. Era una pratica comune all’epoca e non solo nel Lazio, e risolveva mirabilmente la gestione quotidiana e i problemi di rendimento che i latifondi posseduti dalla nobiltà romana creavano inevitabilmente. Da queste parti, intorno agli anni Trenta del secolo scorso, arrivarono varie famiglie di mezzadri marchigiani. Sono loro e i loro discendenti gli ultimissimi rappresentanti di un universo alieno alla città.

O meglio, lontano da qualsiasi altra città, ma non da Roma. Dove pure la campagna ha avuto una storia e un ruolo nella realizzazione del suo sogno millenario. C’è una vocazione contadina qui, che non viene cancellata neanche dai molti metri cubi di cemento che sono piovuti su tutta la zona, spesso, con incredibile ferocia nei confronti di un ecosistema che teneva uomini, piante e animali in un equilibrio creato nel tempo. Che si basava sull’esperienza, sulla condivisione e sul rispetto dell’ambiente circostante, di cui evidentemente i mezzadri e i contadini dell’epoca ancora si sentivano parte integrante, invece che ostaggi ostili, come spesso accade a noi, figli contemporanei delle palazzine e dei condomini.

Questa vocazione è frutto di usi e di momenti di aggregazione che, all’interno dei casali del territorio e, più in generale, nell’universo agricolo, scandivano il ritmo delle attività e del riposo. Feste, occasioni collettive di lavoro, occasioni familiari, anche la cura e la diffusione della pasta madre rappresentava una sorta di veicolo ideale per diffondere competenze, prodotti, idee in un ambiente in cui la collaborazione e il reciproco supporto rappresentavano la moneta più preziosa.

Allo stesso tempo, specularmente, ragionare sull’Agro e sui suoi contadini e allevatori, impone una riflessione anche sull’aristocrazia che possedeva queste terre. Due mondi radicalmente contrapposti si sostentavano a distanza. La vita stessa dei palazzi nobiliari sarebbe stata messa in discussione senza l’apporto dei beni che provenivano dalle tenute e dai casali. D’altro canto, la proverbiale decadenza delle dinastie romane è ciò che ha permesso una relativa indipendenza ai coloni dei feudi, sperduti ai margini dello scintillìo e quindi liberi di creare per sé, al di là dei patti siglati con i nobili, le forme più consone di vita. In questo vuoto – quello che è sopravvissuto e sopravvive alla speculazione edilizia – convivono sull’orlo del definitivo oblio l’una e l’altra storia. Dimenticarle sarebbe una perdita irreparabile.

ICONE

GOJO

Gojo comincia ad avvicinarsi al writing nel ’95 ma, in realtà il suo primo spray lo impugna nel 2002. Innegabile talento per il disegno, già visibile nei suoi pezzi iniziali, evolve man mano verso uno stile più personale ma comunque eclettico cimentandosi anche in rivisitazioni di elementi barocchi.
Dipinge in diverse crew : IBG , DDT , Total Kaos, principalmente operanti a Roma.