Nicola Alessandrini

Lacrima Vergine

Nicola Alessandrini ritiene che «l’intelligenza non sia la contrapposizione dell’istinto ma solo la sua evoluzione in chiave complessa, che noi esseri umani siamo dunque animali evoluti per alcuni versi e involuti per altri, al centro di una trasformazione in perenne divenire, nonostante la tracotanza – forse derivata da una sorta di abitudine incarnita dal cattolicesimo – di essere al centro dell’universo, la forma più alta dell’evoluzione».
Ma in questi due murales Nicola ha in qualche modo invertito il processo di disumanizzazione che spesso applica alle forme umane nelle proprie opere per sottolineare la nostra condizione di uomini frammentari, non-finiti. Qui abbiamo due teste di cavallo che piangono ininterrotte lacrime, più umani degli umani. Sono due cavalli che ritroviamo nel gruppo scultoreo di Fontana di Trevi, il cui soggetto principale è proprio l’acqua, e le sorgenti come l’acquedotto dell’Aqua Virgo, in particolare, l’unico acquedotto di Roma ancora funzionante, che porta l’acqua alle fontane più importanti della Città Eterna,
Quell’acqua ‘vergine’, che un tempo era tra le migliori di Roma perché non calcarea, oggi a causa dell’urbanizzazione è tra le più inquinate. E la natura – anche per questo – piange se stessa.
David Diavù Vecchiato

Work in progress

Nicola Alessandrini (Italia)
Lacrima Vergine
via Collatina
Dimensioni: 2 pareti di h 4m x b 7m
Tecnica: quarzo acrilico (marca: Gruppo Ivas)
Marzo 2017
A cura di: David Diavù Vecchiato
Realizzazione: Associazione Culturale MURo
https://www.graart.it/nicola-alessandrini/

La storia

“Una strada d’acqua dolce”

Lungo la via Collatina, in una zona che oggi consideriamo decisamente periferica e per nulla collegata alla storia più nobile di Roma esistono invece moltissimi agganci ancora possibili.

Uno, imprescindibile, riguarda l’acqua e il rapporto che l’Urbe ha avuto con essa per la sua sopravvivenza. Il celebre acquedotto dell’Aqua Virgo, infatti, aveva le sue sorgenti proprio da queste parti, in località Salone all’VIII miglio della via Collatina.

L’Acqua Vergine è, per intenderci, l’unico acquedotto sopravvissuto alla sistematica distruzione delle condutture antiche durante le invasioni barbariche del V d.C. e soprattutto la guerra gotica, nonché l’acqua che alimenta le fontane monumentali del centro storico, come Fontana di Trevi, o la berniniana Fontana dei Fiumi a piazza Navona. Ma questi capolavori furono possibili soltanto dopo il ripristino delle tubature, avvenuto moltissimi secoli dopo il taglio, che – vale la pena ricordarlo – è imputabile tanto agli eserciti invasori quanto a quelli imperiali i quali, da dentro le mura, attuarono tagli di natura “difensiva”, per evitare che gli eserciti nemici utilizzassero gli spechi come vie d’accesso.

Come visse dunque la popolazione in assenza degli acquedotti romani? Il Tevere fu la risorsa più semplice a cui rivolgersi per una soluzione.

Così per tutto il Medioevo i romani di tutte le classi sociali si accontentarono di bere l’acqua decantata del fiume. La questione era “trattata” da una corporazione di lavoratori che più tardi, con il restauro delle condutture antiche, si estinse. Ma per tutto il Medioevo furono gli “acquaricciari” o “acquarenari” a dissetare i cittadini con l’acqua del Tevere dopo averla filtrata dai detriti (la rena, cioè la sabbia, fra tutti) e permettere a Roma di travalicare i secoli. Questa categoria aveva un ruolo così nodale nella vita dell’Urbe da possedere una sua chiesa dedicata, Sant’Andrea de aquaricariis, nel Rione Ponte, al cui posto oggi si può visitare la ben più nota Santa Maria della Pace.

Il viaggio, iniziato sulla Collatina, termina infine davanti alle tante personificazioni scultoree del Tevere che decorano il centro, a partire dalla statua di piazza del Campidoglio e sulle rive del fiume, in un percorso dal sapore alchemico dedicato all’acqua intesa come fonte di vita, al tempo stesso capace di raccontare la storia dei più amati alleati di Roma.

ICONE

Nicola Alessandrini

Nicola Alessandrini è nato il 31 dicembre del 1977 a Macerata. Ha frequentato la scuola materna di via Panfilo, di fianco al mattatoio comunale: nei ricordi, le ricreazioni in giardino fra risa di bambini e pianti di animali: un insolito mix di esperienze di cui in qualche modo riscontriamo oggi il prodotto nella sua arte. Le sue opere, sia pubbliche che da studio, sono spesso immagini invadenti e destabilizzanti che intrecciano scienza e cultura popolare, folklore e quotidiano.